JEAN PROUVE’ e la prefabbricazione

Prouvé è figura metonimica della prefabbricazione.

La sua opera si sviluppa tra gli anni Trenta e Settanta del secolo appena trascorso, in sintonia con la ricerca del nuovo propria del Moderno, una tensione del nuovo come valore da perseguire. Una prefabbricazione leggera concepita sulla distinzione tettonica (fino alla scissione) tra struttura e tamponamento, impiegando i materiali metallici (la lamiera d’acciaio e d’alluminio). All’organismo massivo del sistema con muri portanti o a quello puntuale del sistema intelaiato in cemento armato (in cui il tamponamento sottolinea la trama strutturale), si sostituisce un sistema in cui struttura e tamponamento sono elementi autonomi, in termini funzionali e figurativi (edificio = struttura + involucro). L’involucro dell’edificio diventa pelle sensibile pensata per proteggere e contenere. Il pannello è componente minimo dell’involucro, elemento modulare, autoportante, interamente realizzato in officina e montato a secco, in cantiere, da maestranze specializzate, principalmente per collegamento bullonato. Principio generatore che promuove inusitate articolazioni spaziali e funzionali inaugurando un nuovo rapporto dell’edificio con lo spazio e con il tempo con l’introduzione delle nuove qualità di intercambiabilità e trasformabilità. Novità saliente introdotta è la reversibilità del processo di montaggio che avviene per giunzione-giustapposizione degli elementi-  componenti: consente la trasformazione senza demolizione dell’edificio, l’evoluzione nel tempo della sua forma costruita che non è più fissa e definitiva, nella dialettica tra gabbia tridimensionale della struttura e bidimensionale dei piani dei pannelli di tamponamento.

Prouvé sviluppa una serie incredibile di studi di dettaglio sui sistemi leggeri di facciata, costantemente evoluti e superati, spesso registrati come brevetti, vera genealogia del suo pensiero industriale. Corpus talmente rilevante da coincidere storicamente con l’apporto fondamentale da egli fornito al settore della prefabbricazione.

Il responsabile di tale attribuzione è Frank Lloyd Wright che, visitando la Maison du Peuple nel 1938 marchia Jean Prouvé come l’inventore del ‘curtain wall’. Attribuzione che faceva costantemente infuriare il maestro lorenese: “[…] faire une façade legere toute seule c’est idiot […]. J’ai toujours dessiné ensembles […]”, a sottolineare il carattere olistico del manufatto architettonico.

I sostegni, i pannelli dell’involucro, la copertura, tutte le membrature si plasmano partecipando all’equilibrio dell’insieme, costruendo un organismo coeso in cui la tensione delle parti in equilibrio è meccanismo esibito.

L’edificio è concepito come padiglione smontabile (condizione questa che ha determinato spesso il triste destino delle opere di Prouvé perdute se non addirittura trafugate) affatto indifferente al luogo (la città) e alla sua evoluzione (la storia), con i quali non cerca relazioni e non instaura rapporti se non di natura costruttiva (le fondazioni) o puramente funzionale (l’accessibilità), équipement urbain perfettibile in continua evoluzione, prototipo oggetto di costante miglioramento della sua dotazione tecnologica e dei dispositivi spaziali e funzionali. Prouvé coniuga i principi della prefabbricazione con lo studio di tipi costruttivi semplici, caratterizzati da una specifica soluzione morfologico-strutturale, elaborando un ‘alfabeto delle strutture’ che accomuna tipologie edilizie differenti, filo rosso che unisce mobili-case-grattacieli (pensando ad esempio al principio a nocciolo centrale applicato alla Casa Alba o alla Torre Nobel). Il tipo a portico assiale, il tipo a stampella, il tipo a guscio, il tipo a volta, il tipo a nocciolo centrale, si declinano in studi, prototipi e realizzazioni: idea costruttiva esito delle riflessioni sul sistema statico-costruttivo, sul layout funzionale, invenzione spaziale e figurativa indagata a partire dalle condizioni necessarie alla sua fabbricazione, sotto l’egida della ‘necessità’, della ‘economicità’ e della ‘leggerezza’.

Per la varietà dei temi affrontati e per il rigore del suo approccio metodologico, per l’impegno anche economico profuso oltre che etico e sociale, per la cultura costruttiva e per lo stato di curiosità permanente che caratterizza la sua ricerca, sono molte le figure (e i luoghi comuni) ricorrenti per definire Prouvé: architetto, ingegnere, costruttore, imprenditore, inventore. Nemmeno Le Corbusier riesce a definirlo univocamente, inaugurando l’immagine di ‘homo triplex’ (architettoingegnere-costruttore, nel Modulor II). In realtà egli sembra più accostabile ai maestri d’opera medievali, lavorando istantaneamente per tenere unite figure oggi centrifugate dal processo di produzione edilizio, per evitare quella parcellizzazione di competenze, così deprecata, che conduce inevitabilmente ad un allungamento dei tempi di realizzazione con il conseguente smarrimento dei contenuti iniziali del progetto, dell’idea generatrice.

Elaborando un ‘processus du travail’ all’insegna della multidisciplinarietà e interdisciplinarietà, sfruttando i saperi speciali di tecnici appartenenti anche a settori non strettamente connessi all’architettura (come ad esempio l’ingegneria aeronautica).

Nasce nel 1901 e trascorre gran parte della sua esistenza a Nancy, dove muore nel 1984. Svolge un’attività di apprendistato presso il ferronier d’art Zabo, dal quale impara i segreti della fucinatura. A Nancy inizia la sua carriera professionale nel 1923, aprendo il primo atelier (Ateliers Jean Prouvé). “Io sono nato alla scuola di Nancy […]. Avevano una legge che mi è stata inculcata: l’uomo è su questa terra per creare […]” ricordava spesso Prouvé. È indubbiamente folgorato dall’esperienza della scuola di Nancy (1889-1909), sviluppo locale del movimento Art Nouveau di cui trattenne per tutta la vita lo spirito, lo ‘spirito Nancy’, sorta di morale dell’invenzione, disposizione intellettuale a “essere moderni, senza compromessi”. Ne perpetua la ricerca continua, espressione di un artigianato colto, illuminato, che guarda all’industria, intriso di ideali etici e sociali, facendo parlare i nuovi materiali e le nuove tecniche, vero fondamento della sua speciale poetica. Elegge la lamiera d’acciaio materiale primo protagonista della sua maggiore produzione, ma impiega anche la lamiera d’alluminio, il legno, il perspex. Studia e sperimenta l’accostamento e la lavorazione dei materiali impiegando gli ‘outils’ che lo sviluppo tecnico gli mette a disposizione. La saldatura elettrica lo affranca dalla fucina, l’impiego di macchine presso-piegatrici con prestazioni sempre più elevate gli permette di liberare il suo pensiero costruttivo.

La lamiera d’acciaio in rotoli, prodotto dell’industria siderurgica, di quattro metri di larghezza, dello spessore variabile da 10 a 25/10° viene saldata, piegata, imbutita, punzonata, aggraffata, bullonata, per diventare pilastri, travi, shed, pareti, scale, finestre e infine pannelli, con il sogno di realizzare edifici in serie: ‘l’industrialisation du batiment’.

Nel 1930 Prouvé è a Parigi: è in contatto con Mallet Steven, stringe personali rapporti d’amicizia con Janneret e Le Corbusier con i quali fonda l’UAM (Unione Artisti Moderni), cui aderiscono tra gli altri Beaudouin, Chareu, Ginsberg, Lods, i fratelli Lurçat.

Egli vuole applicare i modi della produzione industriale al settore edilizio: è affascinato dalla perfezione dell’automobile (2CV è pardigma di tale perfezione), dell’aeroplano, del treno e guarda allo stato di arretratezza in cui versa il settore edilizio. “Se gli aeroplani fossero costruiti come le case non volerebbero mai”.

Pensa l’edificio come un sistema costituito di elementi-componenti che interagiscono tra loro in un complesso equilibrio di forze statiche e dispositivi funzionali, alla stregua di un meccanismo (per abitare, parafrasando Le Corbusier), senza concessioni formalistiche: le figure tecniche disegnate da Prouvé parlano del loro funzionamento, esprimono i modi di costruzione, equidistanti da ogni determinismo forma-funzione quanto da un’estetica macchinista come pura opzione di gusto. “Io non ho mai disegnato forme, ho fatto delle costruzioni che avevano una forma”.

La sua ricerca, appoggiata dagli ambienti dell’avanguardia tecnologica francese, divulgata dalle riviste e promossa all’interno dei CIAM e dell’OTUA, incontra tuttavia numerose difficoltà nel settore della produzione. La lobby imprenditoriale non crede nelle possibilità di uno sviluppo della carpenteria metallica applicata al  settore edilizio (preferendo produrre casseruole piuttosto che case) e la grande occasione rappresentata dalle necessità della ricostruzione post-bellica, malgrado le iniziali commesse (e promesse) del Ministero per la ricostruzione, viene sprecata, preferendo ai materiali metallici il cemento armato ‘materiale patriottico’.

Tra il 1931 (data di fondazione della società anonima Les Ateliers Jean Prouvé) e il 1954 (alienazione dell’officina di Maxeville) si sussegue incessantemente una lunga serie di progetti e prototipi di abitazioni individuali e collettive. La casa per i week-end e per le vacanze BLPS (1935), trasportabile e montabile rapidamente, per semplice incastro dei componenti, di dieci metri quadrati. “per liberare dalla dipendenza dall’hotel”; la casa 3×3 metri per l’esercito 1939), montabile da tre uomini con componenti trasportabili da un solo uomo, prodotta in serie in ottocento unità fino allo scoppio della guerra; le case per i sinistrati della Lorena e del Vosgi (1944) del tipo ‘a portico assiale’, di 8×8 metri e 8×12 metri, prodotte in ottocento unità su commessa del ministro della Ricostruzione Dautry; le case 8×8 metri ‘a portico’ per la ricostruzione della Sarre (1945); la casa tropicale per Niamey (1949), con componenti in alluminio, aviotrasportata da un cargo Bristol in Africa a titolo dimostrativo; le case di Meudon (1949), a portico assiale e a guscio; le abitazioni a guscio Citroen (1950); la casa Alba, ‘a nocciolo centrale’; le case per l’abbé Pierre (1955).

È rilevante come l’edificio sia espressivamente raffigurato attraverso il principio saliente della sua composizione: il montaggio. Le fasi di montaggio del tipo Metropole realizzato a Meudon sono dettagliatamente descritte nel catalogo Studal. La prima fase comprende la messa in opera della fondazione-basamento, costituita da un solaio a struttura in acciaio appoggiato su setti in pietra. Sul piano del solaio viene disposto l’elemento strutturale il ‘portique’, collegato ad esso attraverso un perno; sulla struttura e sulle travi di bordo appoggia la ‘putre’ del tetto. La fase successiva consiste nella messa in opera della copertura, formata da elementi autoportanti in alluminio messi in tensione attraverso i tiranti della facciata. L’ultima fase prevede il posizionamento e fissaggio, attraverso profilati di ancoraggio, dei pannelli di tamponamento. Gli studi vengono raramente messi in produzione, tanto che l’officina di Maxeville, investimento a rischio per far fronte alle promesse politiche di un mercato della prefabbricazione leggera di case di emergenza, viene assorbita dalla Societé de l’Aluminium Francaise (1954) e Prouvè confinato al servizio studi. Una sconfitta ed un trauma che infrange definitivamente i sogni del maestro lorenese. “Le hanno tagliato le mani – gli scrive Le Corbusier – cerchi di cavarsela con quello che ha”. Tuttavia la serie di prototipi ed edifici prefabbricati realizzati prima del secondo conflitto mondiale testimoniano la straordinaria qualità della sua ricerca. L’aeroclub Roland Garros (1935) ma soprattutto la Maison du Peuple (1936-38) realizzano il sogno degli architetti del Moderno di costruire un edificio interamente prodotto industrialmente. La Maison du Peuple, progettata con gli architetti Beaudouin e Lods con la consulenza dell’ingegnere aeronautico Bodiansky, è un meccano tecnologico ad assetto variabile (interamente realizzato in officina in lamiera d’acciaio pressopiegata emontato a secco in cantiere) che risolve il complesso layout funzionale, una Casa del Popolo (con sala riunioni-feste e proiezioni cinematografiche e gli uffici per le rappresentanze sindacali) e un mercato coperto, attraverso un sistema di pareti e solai mobili che possono scorrere-traslare-comporsi trasformando la disposizione spaziale e funzionale. Il mercato è collocato al piano terra: i due corpi-scala principali, isolabili attraverso un sistema di saracinesche mobili a scomparsa, rendono indipendente dal mercato l’ingresso alla sala superiore. Al primo piano il solaio presenta un nucleo centrale costituito da un sistema di otto elementi, di 17×5,50 metri, che scorrono  attraverso un sistema di argani e binari ‘dentro’ il blocco tecnico (armoire a planchers), unificando lo spazio del mercato e ritagliando una galleria anulare. Il lucernario di copertura, apribile attraverso un dispositivo elettrico, trasforma il mercato ‘en plain air’, sotto l’egida di igiene, aria e luce, principi informatori della Nuova Architettura. Il primo piano, nella disposizione ‘chiuso’ di pavimento e lucernario, funge da sala riunioni-feste in grado di accogliere 1500-2000 persone; mettendo in opera un sistema di pareti scorrevoli, il medesimo piano può trasformarsi in un cinema-teatro, anche open-air, per 700-800 persone, dotato di foyer, bar e ingresso indipendenti. La struttura statica è costituita da una serie di portali paralleli in acciaio, controventati longitudinalmente, con intervallo di circa 5 metri, che scandiscono un impianto ‘a navate’, la centrale di 17 metri e le due laterali di 11,50 metri, per un’estensione longitudinale di 45 metri. La ‘pelle’ dell’edificio è realizzata attraverso un ‘mur-rideau’ costituito da due tipi di pannello: un pannello di tipo traslucido delimita il volume del corpo principale (la ‘sala’), mentre un pannello di tipo opaco caratterizza il corpo di servizio (la torre scenica), a sottolineare la gerarchia funzionale e volumetrica delle parti. Il pannello traslucido è di tipo composto, con uno strato esterno in vetro filigranato da 8 millimetri e uno strato interno in materiale traslucido tipo ‘Rhodoid’, con interposizione di una camera d’aria con funzione isolazionale. Esso è posto in opera attraverso una struttura di appendimento  in acciaio, il cosiddetto profil radisseaur, realizzata da una serie di profilati scatolari di forma ogivale aperta con funzione frangivento. Il pannello opaco della torre scenica (dimensione 2953×1034 millimetri, intervallo 1040 millimetri, giunto 12 millimetri) è invece un complesso meccanismo funzionale stratificato in grado di resistere al carico del vento grazie alla forma particolare della sezione trasversale: la lamiera d’acciaio che costituisce il guscio esterno e la finitura, è irrigidita attraverso un meccanismo a molla che la conforma convessamente producendo la caratteristica vibrazione della facciata sotto i raggi del sole. Concluso il periodo eroico di Maxeville, dopo il 1954 Prouvé intraprende l’attività di ingenier-conseil, ricopre il ruolo di direttore dell’ufficio studi della CIMT (Compagnie Industrielle de Matérial de Transport) e quello di professore al CNAM (Conservatorio Nazionale Arti e Mestieri) alla cattedra di Arti Applicate. Per la CIMT realizza sistemi di facciate leggere, a completamento di edifici scolastici, d’abitazione e d’uffici, esasperando le tematiche del mur-rideau. Concentrandosi sul pannello, lavora sulla ‘pelle’ degli edifici impiegando la lamiera d’acciaio, d’alluminio e il vetro, nella direzione della complessificazione del componente base, adottando il principio dell’integrazione o quello della separazione dei titoli funzionali costituenti il sistema: brise-soleil, parapetti, finestre, aeratori, vengono innalzati a ruolo di figure dell’architettura che ne determinano, senza camuffamenti l’immagine complessiva. Due esempi salienti. Nell’edificio per abitazioni in square Mozart a Parigi (1953), ciascun pannello, di tipo sandwich, è tripartito in senso orizzontale con (partendo dal basso) parapetto, finestra (a ghigliottina) e una fascia di aerazione. La parte esterna del parapetto viene liberata per scorrere verticalmente (a persiana) ma anche ruotare attorno ad un perno (attraverso un meccanismo a bracci telescopici), per regolare il flusso di luce all’interno delle stanze. La molteplicità delle disposizioni reciproche degli elementi del tamponamento determina, durante le ore del giorno (e della notte), differenti assetti (ed effetti luministici) del fronte meccanico di questo edificio, in costante movimento e mutamento. Nell’Edificio V dell’Unesco a Parigi (1968), il principio è quello della stratificazione in rapporto alla separazione dell’infisso dai brise-soleil, che diventano figure autonome. Al pannello-finestra (procedendo dall’interno verso l’esterno) a ‘hublots’, si sovrappone uno strato in lamiera d’alluminio anodizzato piegata alle estremità in modo da creare delle semicreste che per successiva giustapposizione determinano una sequenza di brisesoleil verticali. Il terzo strato infine è costituito dai piani orizzontali in grigliato (estruso di alluminio), disposti a mensola con la medesima funzione di protezione solare complementare alla precedente. Prouvé grande inventore di sistemi prefabbricati dunque. In grado di pre-figurare straordinari sistemi costruttivi complessi ma anche un pensiero costruttivo a cui fare ancor oggi riferimento, che ci consente di ritrovare a fianco delle necessità cogenti della professione (le regole di chi progetta per costruire), quelle ontologiche obnubilate dal mercato dell’immagine.

di Diego De Nardi

[pubblicato in MATERIA n°37/2002]

 

bibliografia essenziale:

AA.VV. Jean Prouvé. Une architecture par l’industrie, Zurigo 1971.

Dominique Clayssen, Jean Prouvé, l’idee constructive, Parigi 1981.

Catherine Coley, Jean Prouvé, Parigi 1983.

F. Archieri – J. P. Levasseur, Prouvé, Cours du CNAM 1957-70, Liegi 1990.

Diego De Nardi, Jean Prouvé, Torino, 2000.

Peter Sulzer, Jean Prouvé Oeuvre Complete, Voll. 1 e 2 Tubingen-Berlin, 1995-2001.

AA.VV. Jean Prouvé et Paris, Parigi 2001.