ARCHITETTURA E STRUTTURA

Architettura-struttura: una storia ad intreccio in cui le ‘figure’ protagoniste, architettonica e strutturale, agiscono di volta in volta in serena armonia oppure in delirante conflitto, generando sapienti coesioni o incoerenti pastiche.

Una storia particolare caratterizzata da episodi salienti che istituiscono inaspettate connessioni tra generi figurativi diversi, secondo criteri tassonomici oscillanti tra i tipi strutturali impiegati (ad  es.: il telaio, l’arco, le strutture sospese, etc.); le figure di ingegneri (come P.L. Nervi, P. Rice e C. Balmond) in grado di interpretare, se non agire, su quei generi figurativi; o gli universi formali ai quali appartengono (ad es.: l’iperarchitettura, l’architettura strutturale, etc.).

Alcuni di questi episodi salienti consentono di tracciare, procedendo dal punto di vista particolare dell’architetto (non dello storico e nemmeno dell’ingegnere), (se non altro) la trama di questa storia diacronica, illuminata dalle pagine di Giulio Pizzetti e Edoardo Benvenuto, incipit di una storia della figurazione strutturale in architettura o, forse, dell’origine stessa delle forme in architettura: dal ‘telaio’ del Modernismo, alle megastrutture degli ingegneri-architetti del cemento; dalle strutture sospese della hi-tech generation, alle ‘reti’ dell’Informale; dalle ‘reticolari’ della iperarchitectura alle iperstrutture della ‘architettura strutturale’.

Nel Moderno

Nel Moderno, lo sviluppo dell’applicazione dei ‘nuovi’ materiali, il cemento armato e l’acciaio, primariamente sperimentati sul fronte dell’ingegneria, ha la sua sintesi sul fronte dell’architettura nella teoretica (e nell’opera) di Le Corbusier, che traduce nei cinque punti del celebre manifesto, le nuove qualità intraviste nelle sperimentazioni ingegneristiche.  Spazi privi di ingombri statici e murature portanti (le plan libre); superamento della massività della struttura, ora puntiforme (les pilotis); articolazione dei fronti (la façade libre avec ses pans de verre) caratterizzati da finestrature continue (la fenêtre en bandeau); tetto piano (le toit-terrasse), sono le qualità della nuova Architettura, ammesse dall’adozione della figura statica del telaio.

Il telaio è la tipologia strutturale invariante della morfologia architettonica del Modernismo: l’intero edificio, nel suo scheletro portante, è dato dal sintagma trave-pilastro, trama inerte perpetuata sulle più svariate esigenze figurative e funzionali dell’architettura dei Maestri.

P.L. Nervi: forma e tecnica del cemento armato

Tra gli ingegneri che più hanno agito sull’architettura moderna, P.L. Nervi lega indissolubilmente il ‘nuovo materiale’ (cemento armato), l’invenzione statica e la forma architettonica, coagulati secondo procedimenti costruttivi inventati o adottati: il ferrocemento e la prefabbricazione strutturale.

Le sue prime straordinarie opere: le aviorimesse di Orvieto e Orbetello e lo Stadio Comunale di Firenze, sono caratterizzate da un’asciutta plastica ingegneristica generata da un’espressività propulsa dalla necessità legata al loro scopo utilitario (al fatto tecnico);  quelle del dopoguerra: il Palazzo delle Esposizioni di Torino, il Palazzetto dello Sport e lo Stadio Flaminio a Roma, il grattacielo Pirelli a Milano, il Palazzo del Lavoro di Torino e le Cartiere Burgo a Mantova, si caratterizzano invece da un’esplicita tensione formale, secondo un procedimento progettuale che a partire dalla forma (spesso pre-costituita dagli architetti: Piacentini, Ponti o Moretti, dai quali è chiamato unicamente per disegnare le strutture) inventa un processo di costruzione che è insieme soluzione del problema statico e della sua espressività.

Sono figure strutturali ricorrenti: il pilastro, la piastra nervata, l’arco e la cupola, che non salgono mai a figure autonome rispetto all’architettura ma, sulla base delle necessità di equidistribuzione tensionale e di risparmio del materiale, ne determinano la morfologia e l’espressività.

Celebri sono le grandi coperture nervate, sottili e leggere, ottenute colando il cemento entro casseri (a perdere o riutilizzabili in funzione della serialità della struttura) in ferrocemento, eseguiti a piè d’opera, assicurando l’unione statica dei vari elementi con la saldatura elettrica di ogni tronco, ed il getto di nodi di conglomerato ad alta resistenza.

P.L. Nervi compone i suoi organismi in unità spazio-strutturali semplici e simmetriche, concepite secondo una sequenza di membrature strutturali coincidente con la scomposizione delle forze della statica grafica, senza mai enfatizzarne l’autonomia o la tensione formale reciproca (i giunti non sono mai esibizione formale), senza che mai risulti discontinuo il flusso delle tensioni, che si vede e si vive.

La struttura definisce il limite spaziale unitario dell’architettura, disegnato dall’intradosso degli elementi costruttivi, che coincidono con il limite stesso, con l’involucro edilizio. Con la conseguenza che ogni progetto si basa sulla relazione tra la morfologia degli elementi costruttivi che definiscono la struttura portante, e l’inviluppo, la superficie liminare della costruzione.

Le strutture dell’High-tech

L’arcinoto fenomeno architettonico dell’high-tech ha dato forma ad artefatti a forte impatto mediatico, caratterizzati da presupposti di leggerezza, tensione, flessibilità, giustapposizione, continuità, trasparenza, enfaticamente raffigurati attraverso i contenuti costruttivi e di funzionamento, culminanti in complesse forme strutturali.

Le figure salienti, di forte impatto visivo, sono gli impalcati di solaio o copertura portati per sospensione o per strallo.

Esempio dimostrativo dell’applicazione dei sistemi sospesi (e paradigma della figurazione hi-tech) è l’edificio dell’Hong Kong & Shanghai Bank di Foster-Arup, che reinventa la tipologia del grattacielo centrifugando la struttura dal core per dare forma all’inusitato spazio interno di dieci piani: la struttura è definita da quattro telai paralleli in acciaio di diversa altezza, costituiti da montanti (cavalletti) e travature in acciaio disposte ogni 6-8 piani-modulo, che portano per sospensione i pacchetti di piani dei solai.

Peter Rice: tecno-strutture

La scelta dei materiali costituisce, per Rice (grande ingegnere della Arup), una fase fondamentale del progetto, preliminare e propedeutica ad ogni scelta architettonica: scelta tecnica a reazione figurativa dalla quale discende un nuovo ordine del processo progettuale, nel quale l’ingegnere agisce assumendo un nuovo ruolo, quello di tecnologo strutturale, a skilful solver of problem, capace di tradurre in figure costruttive (quindi: architettoniche e strutturali) le proprietà fisiche e meccaniche dei materiali.

Egli connette materiali impiegati e intuizione strutturale, ribadendo quanto afferma P.L. Nervi intorno alla ‘superiore rielaborazione intuitiva dei risultati dell’indagine formulistica’, perseguendo un ideale di modernità, senza dover necessariamente rincorrere la novitas dei materiali prodotti dall’industria, traducendo in modo nuovo le peculiarità fisiche in qualità figurative anche dei più antichi.

Adotta il procedimento compositivo del montaggio, articolato in una sintassi consistente in una raffinatissima gerarchia dei componenti e delle membrature strutturali, disposti lasciando visibili le traces de la main, indizi percettibili, sia pure a scale cognitive diverse, che sostengono una ‘soluzione tattile’ dell’architettura.

Figure salienti di tale procedimento compositivo sono il  ‘nodo’ e il ‘giunto’,  dal bullone articolato (Grandes Serres) alla gerberette (Beaubourg), invenzioni statico-costruttive che diventano portanti anche del sistema.

L’applicazione di questo processo, sui materiali e sulla loro raffigurazione statico-costruttiva, ha prodotto dei contributi che assumono la forma autentica del saggio, talvolta in forma di autonomo frammento tecnologico, talvolta innestato osteologicamente nel corpo dell’architettura: saggio sull’acciaio, come il Beaubourg di Piano e Rogers (sull’acciaio fuso) e l’aereoporto di Stansted, di Foster; saggio sul cemento armato, come la sede dei Lloyd’s di Rogers; sulla pietra, come il Padiglione del futuro di Mackay (MBM); saggio sul vetro (l’invenzione del vetro strutturale!), come la Grandes Serres de La Villette di Fainsilber; saggio sul policarbonato, come il padiglione IBM di Piano; ma anche sul legno, sull’alluminio o sul teflon.

A titolo dimostrativo (e preferenziale), i saggi sull’acciaio: nel Beaubourg, l’acciaio fuso consente la modellazione delle membrature strutturali, culminante nelle famose gerberettes (nello schema Gerber adottato: i due sbalzi simmetrici) elemento prominente di un complesso sistema strutturale funzionale a garantire la massima flessibilità degli spazi interni senza rendere greve il modulo strutturale e senza far insorgere fenomeni di instabilità laterale nei pilastri; nell’aeroporto di Stansted, di Foster, gli alberi strutturali in acciaio, a schema Vierendeel, configurano una molteplicità di funzioni: statica, impiantistica (alloggia i condotti  di tutti gli impianti che sono collocati al disotto del pavimento), ma anche di informazione (interfaccia moduli funzionali di servizio ai passeggeri), e di controllo della luce, ritornando ad una impiantistica ‘dal basso’ che consente alla copertura di modulare la luce naturale.

Cecil Balmond: strutture frattali

Balmond, ingegnere (oggi direttore) della Arup, propone un profondo ripensamento del ruolo della struttura in architettura. Agisce con le sue strutture, all’interno dell’Informale, superando la statica perfezione del cubo modernista, l’elaborazione hi-tech della tradizione meccanicista e il riduzionismo minimalista: “in nome del modernismo – scrive C. Balmond nel suo recente libro ‘Informal’ – la forma è stata spogliata e degradata, mentre la struttura è stata relegata a ruolo subalterno e silenzioso […]. Il processo di riduzione ha toccato il fondo. Il progetto si è ‘decostruito’ e il minimalismo è diventato un’etichetta-premio.”

Attribuisce alla struttura un ruolo dinamico, capace di esplorare la forma e la sua configurazione adottando una geometria che è ritmo, sequenza, collisione, confronto: la geometria frattale, in grado di esprimere configurazioni più naturali con nuovi simboli tramite relazioni logico-matematiche denominate Algoritmi. Questo approccio genera forme strutturali apparentemente arbitrarie e contraddittorie, che superano l’idea fissa e statica della simmetria, dell’ordine logico e lineare, muovendosi verso l’ordine casuale e complesso, innestandosi sapientemente nelle opere di A. Siza, D. Libeskind, T. Ito e R. Koolhaas.

Nel Padiglione del Portogallo all’Expo 98 di A. Siza, la copertura di un grande spazio viene risolta facendo coincidere la struttura con la figura della grande ‘tenda’ leggera, tesa ai due estremi, scegliendo per realizzarla un materiale pesante, il cemento, necessario per contrastare la spinta ascensionale del vento, senza ricorrere a complessi sistemi di irrigidimento.

La sottilissima pensilina in cemento (solo 200 millimetri su una luce di 70 metri), si stacca drammaticamente dai suoi appoggi, mettendo in evidenza i cavi in acciaio di sostegno che scorrono entro guaine lubrificate, disposte per minimizzare le sollecitazioni indotte dalle dilatazioni termiche. Emerge una sorta di inusitato dualismo tra il cemento e l’acciaio, storicamente connessi a formare il cemento armato, ri-connessi secondo un principio di giustapposizione a formare un nuovo insieme necessario e inscindibile: “il cemento diventa una camicia, e la struttura si riduce a puro sistema di cavi”.

Nell’ampliamento del Victoria & Albert Museum di D. Libeskind (non ancora realizzato), vestibolo complesso che relaziona il museo con la città,  “la forma nasce come una traiettoria che si sviluppa e attraversa da una parte all’altra lo spazio con un movimento a spirale, senza soluzioni di continuità e virtualmente senza principio né fine, secondo un approccio olistico”. Questa traccia diviene la linea generatrice della disposizione delle partizioni murarie e si trasferisce in alzato nell’andamento a zig-zag della pianta. La struttura deriva dal procedimento endogeno di sviluppo della geometria, discendendo dalla sovrapposizione delle linee: i punti di incrocio determinano i nodi strutturali, senza necessità di ricorrere a pilastri che attraversino il volume, o a nuclei resistenti autonomi e controventi, mentre i solai sono concepiti come diaframmi di irrigidimento.

Nel Padiglione alla Serpentine Gallery, di T. Ito, la forma è definita, a partire dall’implementazione della retta sulla rete, da una spirale di forme costruita al calcolatore, basata su un algoritmo di un cubo che si espande mentre ruota.

La China Central Television (CCTV) di R. Koolhaas, è l’ultima in senso cronologico di una serie di opere che ha visto collaborare R. Koolhaas e Balmond fin dai primordi di OMA.

L’edificio, alto 230 metri, sorgerà in zona sismica, (richiede la resistenza ad un’intensità pari a magnitudo 8, con un picco di accellerazione al suolo di 0,2 g), ed è composto da due corpi interagenti strutturalmente tra loro, configurati da una ‘pelle’ strutturale: una griglia con andamento diagonale e disegno apparentemente casuale, che interpreta la distribuzione irregolare dei punti di maggiore tensione a cui far corrispondere le maggiori sezioni resistenti.

Iper-strutture

Nel presente, molta produzione architettonica tende a privilegiare gli aspetti puramente formali e visivi, producendo peripezie strutturali e costruttive riferite a sperimentalismi plastici condotti attraverso i modellatori solidi CAD o a progetti sviluppati all’interno della cosiddetta architettura strutturale che, divergendo dal trattamento archetipico dei bisogni e dall’economia della materia, determinano il sovradimensionamento puramente formale delle strutture.

Nel primo caso la tipologia strutturale impiegata è quella reticolare, composta in maglie triangolari in grado di dare consistenza costruttiva ai formalismi in-formi dei volumi involucrati dalle nuove tecnologie del rivestimento, dall’acciaio al titanio. Le espressioni di F. Gehry e Z. Hadid ne sono testimonianza.

Nel secondo caso la struttura viene impiegata quale principale mezzo espressivo dell’opera, attingendo all’immaginario della Natura o a quello della macchina, secondo un dispiegarsi di petali e gemme al pari di bielle e ingranaggi. Può essere dimostrativa di tale tendenza l’opera dello scultore-architetto-ingegnere S. Calatrava, spesso additata in sospetto di formalismo.

Calatrava agisce impiegando le figure strutturali (canoniche: il pilastro, la trave, l’arco, la cupola), primariamente per via formale, composte in stilemi plastici. Le sue membrature strutturali si articolano cinesteticamente, puntando sulla ricerca di un plastico dinamismo: il pilastro non è mai verticale, ma inclinato, l’arco non è più sul piano verticale ma obliquo, il nodo diventa meccanismo, con la predilezione per i cinematismi, per il movimento reciproco delle membrature: sia esso realizzato, fissato in un particolare istante, o semplicemente immaginato.

Calatrava affronta liberamente i generi dell’ingegneria (con i suoi famosi ponti) e quelli dell’architettura (stazioni, palazzi dello sport, auditori, etc.), caratterizzati da analoghi procedimenti compositivi, culminanti in espressioni che suscitano profusione scultorea anziché ratio ingegneristica.

Può illuminare questi processi compositivi, l’analisi condotta dall’ing. G. Macchi, sul ponte Alameda a Valencia (ad arco-tirante, gettato su un fiume inesistente). “La soluzione (consiste, diversamente dalla soluzione canonica di collegare due archi affiancati)  nel costruire un unico arco e trattenerlo dall’ingobbamento laterale, trasformando in rigide lame resistenti alla flessione gli usuali pendini di sospensione dell’impalcato […]. Asimmetria e inclinazione dell’arco sono soprattutto invenzione e acrobazia, (che) non mancano di dar luogo a delicati problemi strutturali che determinano la struttura […], perché l’impalcato è assoggettato ad una flessione sul suo piano […], che si somma alla trazione che l’impalcato subisce come tirante dell’arco”.

Accostato a ingegneri come P.L. Nervi, R. Maillart o E. Torroja, egli ne è sicuramente stato folgorato, e lo si vede nell’etimo delle sua figurazione strutturale, ma diverge profondamente da essi, praticando un’ingegneria del possibile come forma particolare dell’immaginario, molto lontano dalla espressione strutturale necessaria e sufficiente e dall’epico riduzionismo linguistico delle opere dei Maestri.

di Diego De Nardi

[pubblicato in Costruire N. 273/2006]