ARCHITETTURA PER COMPONENTI
La relazione tra l’architettura e la sua costruzione, nel suo svolgersi storico dal Contemporaneo al presente, trova un termine ininterrotto nella progettazione per componenti, che costituisce una modalità culturale di prefigurazione, capace di attribuire a ciascun elemento componente carattere di unità architettonica base, ed espressione della coincidenza tra intenzione formale e concezione tettonica.
In questi termini, la progettazione per componenti, gerarchizzando e disponendo il componente secondo una sintesi che ubbidisce ad una strategia formale, assume il ruolo di forma analitica della composizione architettonica, intrecciando discipline quali la tecnologia, la scienza dei materiali, la statica, e processi quali il trasferimento tecnologico, la produzione, la cantierizzazione, ecc.: un procedimento, proprio dell’architettura, di ricerca per forma (al pari di un sistema complesso) di un equilibrio (im)possibile tra sistemi differenti, secondo una concezione olistica dei manufatti.
Si tratta, in sintesi, di un procedimento che tende all’individuazione di una unità minima complessa della costruzione (costituita da prodotti semplici raggruppati in un tutto unitario), avente carattere seriale, producibile industrialmente, con caratteristiche di prestazionalità e cooordinazione modulare, tale da essere intercambiabile e permutabile, da porre in opera secondo la modalità del cantiere a secco, quindi per assemblaggio-montaggio. Una produzione industriale in serie limitata, che oggi si chiama mass-custumisation, cioè una prefabbricazione che fa proprie le economie di sistema, diversa dalla prefabbricazione di serie dei sistemi cosiddetti aperti.
Nella prima età della macchina
La progettazione per componenti, che sottende la confluenza di differenti conoscenze disciplinari, tra invenzione architettonica e innovazione tecnica, affonda le proprie origini nel cuore del modernismo architettonico (il Deutscher Werkbund ed il Staatliches Bauhaus).
Nel suo svolgersi storico (parafrasando il titolo del celebre saggio di Reyner Banham, Architettura della prima età della macchina), dalla prima alla seconda età della macchina, fino all’età dell’informatica, si sviluppa con le prime costruzioni a secco dei Maestri del ferro e del cemento, per svilupparsi secondo diverse declinazioni, fino ad un presente dominato dai ‘nuovi’ materiali (dai compositi ai nanomateriali, dalle plastiche ai tessili) e dalle nuove forme non euclidee generate al computer.
L’epifania figurativa delle costruzioni per componenti avviene con Buckminster Fuller, Konrad Wachsmann e soprattutto con Jean Prouvé. A partire dagli anni ’20 del novecento, Prouvé prefigura con la sua ricerca sulla prefabbricazione leggera in acciaio e alluminio, una forma di composizione modulare fondata su ‘idee costruttive’, impostate sul trasferimento tecnologico dall’industria automobilistica e aereonautica, sui nuovi materiali e sulle tecnologie della loro lavorazione, le lamiere e la loro piegatura, la saldatura, ecc., per realizzare edifici in carpenteria metallica leggera per componenti, in officina, da montare a secco, in cantiere. Sotto lo slogan ne rien dessiner que on ne puisse construire, egli promuove nuove relazioni tra struttura e involucro architettonico, con la realizzazione di componenti complessi ripetibili: dalla struttura a telaio tamponata da pannelli modulari complessi, culminante nel progetto della Maison du Peuple a Clichy, con Beudouin e Lods e l’ingegnere aereonautico Bodiansky (1936-38), fino alle scocche autoportanti in alluminio delle case prefabbricate del dopoguerra (Maison Alba, 1961 e altre).
Traghettando dall’ingegneria all’architettura il cemento armato e sviluppandone o inventandone nuove applicazioni, Pier Luigi Nervi applica i principi preconizzati nel suo ‘Scienza o arte del costruire’ (1945), in edifici fondati sulla ripetizione di un numero limitato di componenti realizzati a piè d’opera, documentando poi sul suo ‘Costruire correttamente’ (1965), gli esiti più rilevanti. Inventando il ferrocemento e ponendolo al servizio della prefabbricazione strutturale, cioè portando ‘l’industria in cantiere’, egli mette a disposizione della sua immaginazione costruttiva la possibilità di realizzare componenti attraverso la messa in opera di casseri a perdere eseguiti sulla base di un numero ristretto di elementi, eliminando l’onere della carpenteria in legno per la casseratura. Solo così egli può realizzare le sue celebri coperture, veri e propri organismi strutturali definiti sulla base della scomposizione delle forze agenti secondo le regole della statica grafica.
Il percorso evolutivo appare evidente confrontando le strutture reticolari delle due versioni delle aviorimesse di Orbetello (1935, 1939-42), in opera e prefabbricate, con gli shed di copertura del Salone di Torino (1947-49) e i tavelloni della cupola del Palazzetto dello Sport (1956-57).
All’interno di una misconosciuta ‘via italiana’ alla progettazione per componenti, dotata di una solida base teorica (Argan, Ciribini, Spadolini, Nardi e altri), anche Angelo Mangiarotti e Marco Zanuso forniscono il proprio contributo operativo, con la produzione di sistemi strutturali prefabbricati in cemento armato, tra produzione, progetto e design del componente: Zanuso attraverso la personalizzazione della produzione di elementi in cemento armato precompresso, evidente nel Complesso direzionale e produttivo Olivetti a Merlo-Buenos Aires (1954), con l’adozione della caratteristica trave-canale, nella particolarità delle necessità impiantistiche; Mangiarotti, ancora attraverso la personalizzazione della produzione corrente, con il ripensamento del sintagma trave-tegolo, manifesto nella Chiesa di Baranzate (1957), con la messa in opera di travi longitudinali prefabbricate a ‘X’, post-tese, e tegoli progettati in coordinazione modulare, a profilo increspato.
Tra costruzione e immaginario, città della storia-memoria e ricerca costruttiva, declinando l’assioma spazi serviti-serventi in una sapiente gerarchizzazione delle forme strutturali, Luis Louis Kahn esplora le possibilità espressive della costruzione per componenti in cemento armato con la collaborazione dell’ingegnere August Komandant. Costruisce membrature come pietre cave, attribuendo agli spazi interstiziali generati dalle strutture statiche dei telai spaziali, il compito d’essere, con pari importanza delle membrature stesse, cavità per la circolazione dell’aria, della luce, del calore.
La ricerca dell’ordine di Kahn, dello spazio architettonico in cui la struttura si evidenzia nello spazio stesso, trova significativa espressione negli edifici dei Laboratori Richards (1957-61), in cui declina le necessità strutturali e impiantistiche in un sistema strutturale cavo di travi tipo Vierendeel disposte a sbalzo nei due sensi, costituito da quattro componenti-tipo prefabbricati in calcestruzzo, assemblati in opera e soggetti a post-tensione.
Nella seconda età della macchina
Secondo un approccio non dissimile da quello di Nervi, un altro ingegnere, Peter Rice, fornisce un fondamentale apporto ai fondamenti della progettazione per componenti, inaugurando la figura di tecnologo strutturale, capace di individuare e sviluppare una figuratività dei materiali costruttivi: dalla pietra al vetro, dall’acciaio fuso al teflon, lavorando in team con gli architetti, Renzo Piano e Richard Rogers tra questi.
Una vera e propria esplorazione delle possibilità della materia, che si traduce in figure costruttive disposte in forma gerarchica a definire la forma architettonica, in una vera e propria ricerca della scala del dettaglio visibile. Dai macrocomponenti del Beaubourg (1971-77) , le celebri gerberette in acciaio fuso, al giunto articolato delle Serre de la Cité des Sciences et Industrie (1981), a Parigi; dal giogo in cemento e acciaio dei Lloyd’s di Londra (1979-86), al pettine in alluminio pressofuso del Padiglione IBM (1982-84), emerge il valore tettonico attribuito ai componenti architettonici, rispetto al loro ruolo reciproco e rispetto alla forma finale dell’edificio.
In un interessante libro, Chris Abel analizza le relazioni esistenti tra architettura, tecnologia e processo, consentendo di mettere a fuoco un passaggio culturale cruciale nella progettazione per componenti, quale emerge dalla lettura dell’operare di due figure fondamentali dell’architettura in tralice del millennio: Gehry e Foster. Messi a confronto, emerge come, pur in analogia di tecnologia e processo, i due architetti diano luogo ad espressioni molto diverse ed opposte, tese a privilegiare la componente rappresentativa o conformativa dell’architettura. Entrambi introducono i software di modellazione e calcolo (Gehry usa in particolare Catia, mentre Foster usa vari software personalizzati, gestiti da un team di specialisti denominato Specialist Modelling Group) per ottimizzare ed integrare le fasi progettuali, dalla concezione alla costruzione, volgendosi verso la produzione di elementi-componenti facendo ricorso alla mass-customisation, ma secondo un principio opposto, di natura plastico-scultorea in Gehry e di natura prestazionale in Foster.
Costituiscono altrettanti manifesti di queste posizioni, le relazioni tra pelle romboidale, forma e struttura della torre Swiss Re a Londra di Foster (1997-2004) e guscio, forma e struttura del Walt Disney Concert Hall di Los Angeles (1999-2003).
Nell’età della rivoluzione informatica
Gehry è (impropriamente) sinonimico della cosiddetta rivoluzione informatica in architettura, che si identifica nell’adozione di forme complesse, fluide, geometria non euclidea, topologia, frattali, ecc., che stanno cambiando i processi della progettazione e della costruzione, integrando in un unico mezzo (il calcolatore), il disegno, l’analisi, la lavorazione ed il montaggio, con rilevanti ricadute nella formulazione di una teoria sui componenti.
La prefigurazione costruttiva delle forme complesse costituisce in tal senso il nodo critico, da recepire e assumere quale impulso per una nuova progettualità fondata sul rapporto con la costruttività, strumento di cui appropriarsi e utilizzare non solo con finalità pratiche ma soprattutto espressive. Questa nuova nozione di costruttività sembra orientare verso una progettazione di componenti integrati nel sistema iconico delle nuove forme architettoniche, in pattern frutto delle relazioni tra i software di modellazione solida e di calcolo strutturale, e tra questi e i software della produzione computerizzata, alla ricerca di una complessità verificata dalla efficienza della dimensione organizzativa dei processi costruttivi. Le nuove geometrie descritte informaticamente vengono costruite grazie alle relazioni tra CAD (Computer-Aided Design) e CAM (Computer-Aided Manufactoring), con componenti definiti per mezzo di processi numerici gestiti dal calcolatore attraverso le macchine a controllo numerico CNC, quali il taglio, la sottrazione, l’addizione, ecc.. E’ lo sviluppo delle tecnologie digitali verso il cosiddetto “F2F” (File To Factory), dal disegno alla produzione, adottando uno standard numerico comune.
Si delinea così una metodologia di progettazione, in continua verifica ed evoluzione che, se da un lato sembra non porre alcun limite di fattibilità alla produzione delle architetture free-form, dall’altro fornisce elementi di valutazione che consentono di separare ed evidenziare gli studi di progettazione dotati degli strumenti culturali per mettere in atto queste forme complesse e queste metodiche, da quelli che invece producono solo forme, vuote di contenuti culturali e tecnici, che altri faticosamente rendono costruibili.
Nel presente, emergono alcuni interessanti studi in grado di coagulare tecnologie informatiche e ricerca sui materiali, tra invenzione e produzione, capaci di produrre interessanti sviluppi sul tema dei componenti.
La ricerca continua di una espressività architettonica fondata sull’uso dei materiali e non sulla forma, vede nell’edificio Prada Aoyama a Tokyo (2003), uno degli esiti recenti più noti di Herzog e De Meuron, in cui la struttura, lo spazio e la facciata formano una unità architettonica, grazie all’impiego sofisticato di elementi componenti in vetro. La trama di facciata è definita da un pattern romboidale che ha la funzione di ottimizzare la forma strutturale della pelle, scandita da lastre in vetro a differente curvatura, allo scopo di conferire loro un elevato grado di rigidità congruente alle caratteristiche di sismicità del sito: la pelle esterna in lastre float è stata in parte laminata con pellicola anti-UV; negli spogliatoi, le pareti divisorie in vetro sono dotate di pellicola elettrocromatica.
Tra costruzione e performance luminose della pelle, la Kunsthaus, a Graz (2004), di Peter Cook e Colin Fournier, definisce una forma a blob frutto dell’ottimizzazione della forma strutturale con quella di tamponamento in vetro acrilico.
La pelle dell’edificio si definisce come un sistema comunicativo costituito da lastre di vetro acrilico tagliate da macchine CNC, a controllo numerico, e sagomate a caldo, disposte a formare un pacchetto cavo complesso dov’è collocato il sistema di illuminazione BIX (Big Pixel), che configura percettivamente di blu il manufatto.
Pelle, nuovi materiali e nuove geometrie definiscono la matrice culturale e tecnica dell’Acquatic Center Pechino (2008) di PTW architetti, in cui l’involucro è basato su un algoritmo genetico sviluppato al computer, sulla base della struttura Weaire-Phelan, elaborata dai fisici irlandesi che nel 1993 ottimizzarono tramite l’uso di poliedri il principio di una struttura composta di corpi con una superficie minima senza intercapedine. Il modello tridimensionale è l’interfaccia per i diversi apporti disciplinari, strutturali, impiantistici, ecc.
La pareti e la copertura sono state concepite come doppia facciata, che formalizza le bolle in elementi-componenti pneumatici, composti di quattro strati di membrana in ETFE (Ethylene tetrafluoroethylene, materiale plastico traslucido e resistente) e tre intercapedini al fine di ridurre al minimo la trasmissione termica. La membrana esterna della facciata verticale è colorata in blu, mentre il resto delle membrane è trasparente.
In conclusione. Il discorso sui componenti investe questioni di fondo che riguardano profondamente l’invenzione architettonica, a fronte delle necessità connesse alla sua costruttività, obbligando ad una riflessione non solo sulla costruibilità, ovvero sul ‘come si costruisce’, ma anche sul ‘perché si costruisce’: sulle ragioni d’essere dell’architettura, su un’etica della costruzione fondata sulla necessità e sulla razionalizzazione dell’uso dei materiali e delle risorse, da tradurre in configurazioni formali, vera fonte e scopo di quella che dovrebbe essere la Ricerca in architettura.
di Diego De Nardi
[pubblicato in Costruire N°318/2009]
Chis Abel, Architecture, technology and process, Architectural Press, 2004
Ingrid Paoletti, Costruire le forme complesse, Libreria CLUP, 2006
Thomas Leslie, Louis Kahn, George Braziller, inc, 2005
Maurizio Cagnoni, Peter Rice e l’innovazione tecnica, edizioni Librerie Dedalo, 1996
Diego De Nardi, Jean Prouvé, Testo & Immagine, 2001
Diego De Nardi, Iperarchitettura e costruzione, in Costruire N. 267 2005
Diego De Nardi, Struttura e architettura, in Costruire N. 273 2006